regia e progetto musicale
MICHELE ABBONDANZA
coreografia
ANTONELLA BERTONI e MICHELE ABBONDANZA
con
PAOLA FALESCHINI e ANTONELLA BERTONI
scene e costumi
ANTONELLA BERTONI
luci
ANDREA GENTILI
realizzazione oggetti scenici
TOMMASO MONZA
organizzazione
DALIA MACII
ufficio stampa
FRANCESCA LEONELLI
produzione
COMPAGNIA ABBONDANZA/BERTONI
con il sostegno di
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI – DIP. SPETTACOLO
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO – SERVIZIO ATTIVITA’ CULTURALI
COMUNE DI ROVERETO - ASSESSORATO ALLA CONTEMPORANEITA’
FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI TRENTO E ROVERETO
REGIONE AUTONOMA TRENTINO - ALTO ADIGE
durata 65' - anno di creazione 2012
La pubblica intimità.
La nostra curiosità ci spinge ancora una volta ad accostare interpreti caratterizzati da forti segni; fisici, come nel caso de Le fumatrici di pecore o biologici come in questo nuovo progetto: vedremo infatti in scena madre e figlia. Quel che seguirà da questo incontro ravvicinato sarà l'effetto e il prodotto di una causa e non lo sviluppo di una storia o di un argomento.
Le due interpreti come due soluzioni chimiche (in fondo siamo anche un insieme meraviglioso e tragico di combinazioni chimiche) produrranno effetti a catena che seguiremo contenendoli e là dove necessario, sviluppandoli. Gli accostamenti tra persone sono sempre interessanti ma lo potrebbero essere ancora di piú se queste persone sono "speciali".
Mettere in scena madre e figlia potrebbe rischiare di essere solo una scelta "a effetto" e quindi un gioco superficiale se non venissero indagate le forme del sotterraneo che le ospita, per poi portarle in superficie sotto altre forme, en plein air.
Attraverso l'immaginazione tutto torna ed è magnifico ma poi la realtà (il teatro è molto "reale", c'è, esiste e la gente è lì in carne e ossa che ti guarda) chiede traduzioni di forma. Le forme dei sentimenti prevedono innanzitutto l'esistenza di sentimenti e l'allenamento alla scena affinché tutto ciò avvenga "normalmente".
Ecco, questo progetto potrebbe ribadire il nostro desiderio di portare in scena lo straordinario come fosse ordinario affinché più facilmente sia leggibile.
Crediamo, così com'è successo in precedenti esperienze accostando due ossimori di bellezze diverse (Le fumatrici di pecore), che anche in questo caso si possano riavvicinare "teatralmente" due corpi che sono stati massimamente intimi.
Insomma vorremmo creare un altro "incontro ravvicinato", cercando l'opera nell'avvenimento e nella fisicità di questo incontro e non, minimizzando i corpi a "mezzi", solo in una storia da rappresentare.
La trama e l'ordito scaturiranno infatti dai loro corpi narranti che potranno rendere di pubblico dominio, con la loro accondiscendenza, forme (altrimenti celate?) di preziosa intimità. L'incontro scenico tra madre e figlia, sarà anche un incontro tra chi é stato 1000 volte in scena e chi mai: un ulteriore differenza che come per Le fumatrici di pecore, vorremmo far diventare uguaglianza.
Staremo in attesa, nell'accostamento, della reazione, del boom esplosivo, del big bang creativo di una nascita. (M.A.)
“Verresti in scena con me?”
L’ho chiesto a mia madre, alle sue gambe, alla sua schiena, alle sue braccia, alla sua testa, al suo coraggio; gliel’ho chiesto per tornare a lei, la sola così esistente; alla ricerca di qualcosa che desse voce alla sua parte muta; lei così ligia a pensare, agire, sentire, attraverso schemi precostituiti (secondo la mia visione, naturalmente non imparziale).
Nessun corpo esiste di meno per me, nessuno esiste di più; un tabù, deposito di segni; classico, amato, rifiutato, mitico, sacro, ed ora così sofferente e fragile. Identità e memoria, faro primitivo, edificio preistorico.
Così diverse e al tempo stesso così inequivocabilmente noi stesse; non finiremo mai di essere una madre e una figlia.
Ci muoviamo tra poche cose in uno spazio sfuocato, avvolte da una nebbia, metafora forse di un fuori fuoco interiore: per malattia, per colpa.
Ciò che facciamo sono azioni moderate, apparentemente; l’essenziale non si dice né si racconta, si mostra.
Campo di esibizione: riconciliazione in terra rude.
Così abbiamo avvicinato i nostri corpi, l’ho toccata più forte che ho potuto con i segni che lei ha cominciato su di me e che mi hanno portato a far parte della Nazionale di Ginnastica Ritmica a 14 anni, segni che io ho poi continuato (deludendola?) spostandoli dalla palestra al palcoscenico.
E’ qui, in questo luogo a me familiare, che io l’ho voluta portare e lei si è fatta condurre, per raggiungerci di volta in volta in una Scena Madre: patetica, estetica, epica. (A. B.)