La Morte e la Fanciulla - Recensione su SIPARIO

Quando nel 2017 Michele Abbondanza e Antonella Bertoni hanno creato quest’opera si potrebbe dire che abbiano portato davanti agli occhi del mondo l’espressione visiva racchiusa nel quartetto in re minore “La morte e la fanciulla” di Franz Schubert. Le due opere, infatti, quella coreutica e quella musicale, si sono fuse ed intrecciate a tal punto che la partitura musicale senza la lettura data dai due coreografi oggi sembra incompleta. Questo spettacolo, che ha una struttura circolare, inizia col lied di Matthias Claudius ma tutto converge sul quartetto di Schubert. La scena essenziale è immersa in una diffusa semioscurità e riempita dalla presenza delle tre danzatrici vestite della propria nudità, coi lunghi capelli sciolti, che lentamente intrecciano la loro gestualità alle note musicali. Le citazioni artistiche e letterarie della coreografia sono innumerevoli, a cominciare dal primo movimento, l’allegro, che richiama esplicitamente le Grazie della Primavera di Botticelli e di Canova per la mimica non meno che la delicatezza e la musicalità con cui le danzatrici interagiscono tra loro con unisoni e intrecci. I movimenti coreutici si susseguono all’unisono coi movimenti musicali, intercalati dalle videoproiezioni delle fanciulle. Questi video richiamano lo sguardo della Morte presente nella partitura di Schubert e nei versi del poeta Matthias Claudius, che costituiscono il testo del lied e che vengono proiettati, riportando il dialogo tra i due personaggi. La musica con un fraseggio duro e simbolico disegna un movimento dialogico con la coreografia: la calma fermezza della Morte si contrappone sinuosamente alle vaghe rivendicazioni di vitalità e giovinezza della Fanciulla. La musica e le scene procedono e la danza diventa più cupa, più frenetica, arricchita da assolo che introducono un elemento di asimmetria nell’opera complessiva. E’ una cesura che introduce alla seconda metà dello spettacolo, nella quale le tre danzatrici si scambiano, si integrano alle tre fanciulle proiettate nel video, dando vita ad un sestetto, si trascinano, mimano un commiato. La potenza del Quartetto e del Lied di Schubert, sono, dichiarano i due coreografi, il <<motore trascinante nella costruzione del gesto>>, e il rigore delle variazioni coreutiche unito alla minimalità della gestualità, privata di sensualità ed autocompiacimento estetizzante, ne sono il completamento. I chiaroscuri creati dalla regia delle luci danno vita ad un’atmosfera perfetta per evocare lo sguardo della Morte, che sembra passeggiare sul palcoscenico e osservare le danzatrici, spinte ad un inseguimento ostinato dalla paura di essere sfiorate e poi inesorabilmente afferrate. Le tre componenti dello spettacolo, musica, istallazione video e danza, sono sorprendentemente fuse ed interconnesse ma al contempo sono potentemente autoconsistenti, mai didascaliche. La gestualità astratta, le sincronie spezzate, le luci che evocano uno stato di trance, danno vita a un balletto aulico e languido, che, inizialmente ieratico, diventa quasi selvaggio e, con chiare citazioni cinematografiche, realizza una vera narrazione filosofica dell’essere. Il movimento conclusivo è un epitaffio, un rondò funebre che introduce con gesto intimo il compimento. Il contrasto tra il linguaggio coreutico che segue insistentemente la musica unito all’accompagnamento di testo e video, conferisce allo spettacolo uno sguardo privilegiato capace far emergere la fragilità del vivere umano, continuamente immerso nell’arcano della sua essenza. La struttura circolare si chiude nuovamente coi versi del breve lied mentre l’atmosfera è sempre più rarefatta.

Giulia Clai

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