L’ETA’ DELL’INDIFFERENZA
di Ugo Morelli
O soli o massa. O viviamo rinchiusi nella nostra isola individualistica o ci annulliamo nella massa amorfa. Due delle regressioni più evidenti del nostro tempo ci mettono di fronte alla crisi e all’evaporazione delle relazioni di mediazione, sia autorevoli che supportive. Il care-giving è quella delicata e difficile esperienza di affidamento con limitati episodi di prevaricazione e annullamento, che ti fa sentire l’altro che si prende cura di te, ti fa avvertire il suo calore che può turbare ma di cui senti il confine protettivo e la capacità di contenimento. Ebbene quell’esperienza di cura, oggi, spesso si polverizza in relazioni rarefatte e la crisi di legame la rende quasi strumentale. A fronte di quella forma di indifferenza può accadere, diversamente, che ci si consegni anima e corpo ad adesioni cieche, che portano a comportamenti all’unisono, omologati e standard, dall’abbigliamento al linguaggio regredito a mugugni, come piante in un campo di mais ibrido, senza distinzione e accomunati dall’intolleranza di ogni differenza, di ogni tentativo di discontinuità. La compagnia Abbondanza/Bertoni ha messo in scena La Massa, capovolgimento del timore di essere toccati, la prima tappa di un progetto su La densità dell’umano. Le risonanze dello spettacolo rappresentato al Teatro Sociale di Trento, richiamano, nelle figure e nella musica, temi critici della nostra vita contemporanea e del nostro difficile sentire. Non sappiamo se è vero che nella massa ognuno di noi si libera dal timore di essere toccato o se quello che lì accade è l’annullamento, la trasformazione a massa, appunto, che porta all’indistinto e a quello che Freud aveva definito l’ululare con i lupi. Quando un lupo ulula, infatti, ululano tutti gli altri membri del branco e la loro azione è istintiva e immediata. Noi esseri umani, capaci di riflessione, di fletterci, cioè, due volte o più su noi stessi e sulle nostre azioni, possiamo interporre tra noi e il fare, la nostra capacità di pensare. Ma ciò non è garantito e possiamo regredire alla crisi del senso e del legame con gli altri. Quando i corpi singoli sembrano una cosa sola e diventano come se fossero una cosa sola, l’indifferenza può divenire un regolatore dei rapporti e il consenso predominare su ogni dissenso e su ogni discontinuità. È il tempo del conformismo e della crisi dell’innovazione. L’unicità individuale e la riflessione divengono fonte di paura e neppure la musica e l’arte riescono a scuotere l’angosciante paura di distinguersi dal “branco”. Le implicazioni di queste problematiche per la nostra vita attuale sono sotto gli occhi di tutti e solo un investimento in discontinuità ci potrà far trasformare la paura in opportunità per una civiltà basata su un legame allargato basato su una coscienza di specie e planetaria. Diversamente stretti intorno a noi stessi possiamo rischiare di produrre un’umanità pre-linguistica e pre-simbolica, indifferenziata e indistinta ed esposta ad ogni richiamo messianico. Non ci può essere nulla di trionfale nello smarrimento del confine individuale che si dilegua nell’indifferenza. Nulla di esaltante, se non l’esperienza di ululare con i lupi, vi può essere, quando la distinzione individuale si liquefa nella massa. Il ritorno al primordiale di corpi senza linguaggio verbale, lungi dall’essere il superamento del timore di essere toccati, è soltanto un agglutinamento dovuto alla paura. La relazione, ogni relazione, per essere riconosciuta esige il valore della distanza, di una certa distanza che consente di riconoscere il senso dell’avvicinarsi, la sua attrazione e la scelta dell’approssimazione. Osservando Polis, la scultura di Joannis Avramidis, si presenta davanti a chi guarda la roccaforte del “noi”, dove la troppa vicinanza diviene indifferenza e regressione alla gregarietà primaria. Non è l’ariosa distanza che consente il riconoscimento e la scelta dell’approssimazione deliberata, dello spazio al desiderio, del gesto di porgere la mano in segno di accoglienza che abitano nel tutto compatto del toccarsi primordiale per farsi almeno un po’ barriera rispetto all’incombente. È l’indifferenziato che compatta gli individui in massa e neutralizza il gesto autonomo individuale. Un potere macchinico e primordiale, non suffragato dalla riflessione, spinge la massa con forza verso l’urto. Quale sarà l’urto poco conta: la massa caricata tende all’urto aliena dalla riflessione. È la ricerca della giusta distanza da ogni ansia di certezza che ci consente di vedere l’altro come condizione della nostra possibilità. Solo la differenza che l’altro con la sua presenza ci propone può divenire la fonte della possibile, reciproca emancipazione.