di
Alessandra Cristiani, Eleonora Chiocchini, Valerio Sirna
disegno luci
Fabio Sajiz
La pratica attuativa è il campo. Scontorno l’attore, la figura, l’essere.
Lo situo nella frontalità. Lo consegno alla durata, alla luce. Fa ingresso l’uomo.
Simultaneità senza narrazione. Azione che non rappresenta.
Penso la scena come quel dispositivo di prossimità che - sospendendo la violenza del reale - consente la presa diretta del fatto, ineludibile piano sequenza sulla materia, sul suo volto interrogante.In un tempo richiamato e interrotto, tre figure stazionano. Si cimentano con l’azione solitaria, tentano il duo, non senza lacerazione il numero tre.
Rifletto sul potenziale di irrealtà del dato: quando il fenomeno nella sua effettività - qualsiasi dato di esperienza - riverbera uno scostamento, una sensazione, un dubbio di irrealtà. Quando
il reale - rendendosi presente - si nega per divenire presagio.
Rifletto sull’illusione di realtà: quando animo l’inanimato, rispondo alla finzione dichiaratamente esposta, al falso. Non si tratta della questione della verità, ma dell’oscillazione che l’incontro con il dato imprime all’assetto percettivo.
sensorialità del fatto scenico, la dimensione ritmica nel presupposto che la composizione dell’accadimento performativo definisca uno specifico sistema proporzionale di durate.
Focalizza il carattere di evento dell’atto, epifania di ciò che proprio attraverso l’atto si compie, in virtù della specifica relazione io/tu, identità/alterità, attore/spettatore, che fonda il
teatro.
In ogni progetto la chiarezza delle interrogazioni teoriche parallelamente a un tessuto di intuizioni di tipo immaginativo-visivo-sonoro origina la ricerca di una forma esatta quanto
sconosciuta e percettivamente potente, che incarni le singole figure e sia emanazione delle stesse, di un’azione mai descrittiva e pure in grado di generare nello spettatore una
attivazione di nessi. Una danza concreta, il cui soggetto è il corpo.